Tuesday 6 June 2017

Sparsa Vergilii et Horatii fragmenta

Sorry guys, this post is about a translation into Italian, so it will be in Italian, just like all future posts featuring Italian, but not English, translations.

In quarta liceo, affrontai Virgilio in letteratura Latina. Tradussi alcuni pezzi sparsi dell'Eneide, in parte in esametri barbari (quindi versi in Italiano col ritmo dell'esametro), e in parte in endecasillabi. Più avanti nella quarta incontrai anche Orazio, e anche di lui tradussi alcuni componimenti. Vediamo di elencare e datare, per quanto possibile, il tutto.
  1. Cominciamo dal proemio dell'Eneide. Questa pare l'ultima che ho fatto di Virgilio, infatti un indice di traduzioni poetiche creato l'11/1/11 alle 20:40 e modificato il 22/1/11 alle 18:30 la segnala come "facienda", "da fare". In effetti un file del 31/1/11, creato alle 18:20 e modificato alle 18:24, ne contiene la storia, e la data al 22-23-25/1/11. Quasi tutte le modifiche dalla versione originale alla finale sono fatte appena dopo aver scritto i versi modificati, ad eccezione dell'annullato «ricorda i perché / le cause» del v. 8, fatto dopo aver composto «Per pïetà uomo insigne» e «forzò» di versi successivi, e delle modifiche «Per che lamenti regina d’Olimpo a cotanto soffrire» -> «Per che lamenti regina d’i dèi a cotanto soffrire» -≥ «Per che dolor regina d’i dèi a cotanto soffrire», verso che poi è cambiato ancora, non so quando. Anche la modifica «passar per sì tante» -> «passare sì tante» non è databile al momento.
  2. Poi abbiamo un singolo verso tradotto come esametro barbaro. Trattasi di Aen. I v. 33. Molto probabilmente l'ho fatta, questa traduzione, appena ho beccato il verso a scuola. Ho un file che contiene quel verso che è stato modificato per l'ultima volta il 19/10/10 alle 16:40 (sono appunti al testo), quindi presumo che la traduzione risalga ad un intorno di quella data. Comunque, tutte le traduzioni di Virgilio sono elencate in un "index versionum poeticarum" (indice delle traduzioni poetiche) del 15/1/11 alle 13:09, e l'unica segnata come "facienda" (da fare) è il proemio, quindi entro il 15/1 le altre erano tutt'e due fatte. In effetti questa è inclusa per intero nell'index del 15/1. Il manoscritto si trova su un foglio scocciato al quaderno tra gli appunti del 13 e quelli del 20/10.
  3. Infine (per Virgilio) abbiamo alcuni pensieri di Didone (Aen. IV 15-19) tradotti in endecasillabi. 5 versi in latino, 6 in Italiano, motivo per cui ci sarà una riga bianca nel latino. In un file datato 9/11/10 21:02 si trova un lungo brano latino che contiene questi versi, con la traduzione sotto posta accanto. Gli appunti su questi versi sono del 20/10, quindi la traduzione risale a questo intervallo di tempo. In effetti ci sono appunti datati 27/10 in cima al manoscritto, ritrovato nel quaderno di virgilio, quindi supporrei che questa risalisse a tra il 20 e il 27. Il manoscritto peraltro mostra varie possibilità alternative. La versione Blog prende quasi sempre le prime alternative pensate (o quelle scritte in cima al "menù di scelta"), mentre prende l'ultima per l'ultimo verso. Nella versione Alternativa do le altre opzioni. L'ultimo verso, in verità, ha tipo 5 opzioni, che sono «Ceder potrei a questa sola colpa», «Ceder potrei a questo sol peccato», «Ceder potrei soltanto a questa colpa», «Ceder potrei a questa unica colpa», e «Ceder potrei a quest'unica colpa».
  4. Passando a Orazio, abbiamo la traduzione in esametri barbari della lettera a Celso Albinovano. Stando al post vecchio, e presumibilmente al file delle traduzioni di altrui poesie, questa risale al 6-7/4/2011. Ho ritrovato il taccuino di poesie mie dove infilavo qualche manoscritto di traduzione, come quello di questa indicata come «6/4 in lct», quindi come fatta a letto la notte tra il 6 e il 7/4, fino al v. 11, poi «postridie mane», la mattina seguente, il v. 13, e «dum de Hist Cal int», mentre viene interrogato di storia Calò, i vv. 12 e 14, e «Inde», poi, il resto, salvo il v. 7 che manca. Rispetto alla versione sotto ci sono le seguenti differenze:
    1. «o bruciato gl'olivi 'l calore» al v. 6, con «o gl'ulivi 'l calore abbia morso» di seguito, indicata come «minus placet» (mi piace di meno);
    2. Come detto sopra, il v. 7 manca del tutto;
    3. «men forte che 'n tutto 'l mio corpo» al v. 8, trasformato poi nella versione sotto sempre sul taccuino;
    4. «Niente voglio sentire né apprendere, che mi guarisca» al v. 9, con la versione del blog di seguito;
    5. «m'arrabbïo coi miei amici» al v. 10 come cambiamento rispetto all'originale che è come sotto, cambiamento indicato come "(-bïo minus placet" e conseguentemente annullato;
    6. vecchiaia al v. 11, col "vecchiezza" di sotto indicato come cambiamento;
    7. Sempre al v. 11, «Poi che mi cercan cacciar», cambiamento del 7/7/22, cfr. sotto;
    8. «Ciò che fa male io seguo …» come falsa partenza del v. 12;
    9. Il v. 13 manca del tutto;
    10. "come sta" e "incontra" ai vv. 14 e 15 risp., strani indicativi coordinati col congiuntivo "amministri", errore che il tacuinum non corregge;
    11. "poi" alla fine del v. 16;
    12. "sue" al v. 17;
    13. Un "così io" iniziale sovrascritto da un "così ti" al v. 18.
    Nel frattempo nel quaderno di Orazio c'è una stampa tra il 14/4 e il 28/4 che riporta la traduzione per intero, che aggiusta tutto tranne il "cercan", per cui v. dopo, e i congiuntivi "stia" e "incontri", che sono ancora indicativi, con annotate a mano le varianti «Seguo ciò c'ha mal fatto, ciò che giovar credo rifuggo» e «Se dice "tutto va bene"», entrambe rigettate o scordate ora della stampa collocata oltre il 26/5, nonché del file del 25 dove trovo tutto completo come sotto. Beh, a parte «Poiché mi cercan cacciar», che prende il suo "voglion" alle 15:07 del 7/7/22, diventando quindi «Poi che mi voglion cacciar dalla torpida e morta vecchiezza», se non che il 14/12/23 alle 19:14 pensai che fosse meglio «Poi che mi cercan di toglier da torpida e morta vecchiezza», forse in parte perché avevo ancora in mente il "cercan", ma del resto è quel che c'è in Latino.
  5. Licinio fu iniziata il 7, stando sia al blog che al taccuino di poesie di cui sopra. Per la precisione, il t.poem. dice che la prima strofa, esattamente come sotto, risale al 7/4 "P. test en extus solus" (dopo la verifica di inglese fuori [dall'aula] da solo). Poi abbiamo il quaderno di Orazio stesso, al quale rimanda anche il t.poem. col suo «Vide A.d. VII Id. Apr. in q. Hor», cioè «Vedi 7/4 nel quaderno di Orazio, e che, nel 7/4, dopo aver riportato il v.4, riporta la seconda strofa, con la variante «Lungi sta, sicuro, dallo squallore / Di cadente casa, e da invidiabil / Ricca magione / Con misura». Il manoscritto della versione finale (salvo la variante «Talvolta con cetra sveglia», e quelle «Nel favor del vento raccoglierai / Le vele gonfie» e «Nel favor del vento trarrai le vele / Troppo gonfiate») si trova tra il 14/4 e il 28/4, su una stampa delle due strofe con quella variante appena detta. Per entrambe posso garantire che entro il 25/5/11 alle 17:43 erano complete, Celso Albinovano come sotto salvo i congiuntivi "stia" e "incontri" che sono indicativi, e Licinio come sotto tranne "monti sommo / Prima" invece di "monti sommi / Primi" e "ti va ma" invece di "ti va mal".
  6. Quanto a Leuconoe, il blog diceva «non posso precisarla perché ho dei vaghi ricordi che la associatno a cose distanti nel tempo, precisamente: 1. Una mia "poesia" del 28/5/11; 2. Una traduzione di Donne del 28/4/11; 3. Un'altra traduzione della stessa poesia di Donne del 23-24/3/11». Il file del 25/5 di cui sopra riporta la versione sotto, salvo cannare «da'» che diventa «dà». È saltato poi fuori un altro file, stranamente datato 23/3/11 18:00, che data la traduzione di Leuconoe al 24/5. Riporto qui il contenuto del file in merito: «Tu non chieder (bestemmia è saperlo=>da sapere) / Qual fine a me, a te gli dei han dato, / Leuconoe, ’nterrogare non volere / Quello ch’a => Quanto a Babilonia han calcolato. / Quant’è meglio accettare checché viene! / Sia che più inverni=>verni c’abbia assegnato / Giove, o questo com’ultimo, che tiene / Contro i scogli ’l Tirreno affaticato: / Alla tua vita dà sapore, ’l vino / Filtra, e, ché la nostra vita è breve, / Lontana speme chiudici. Persino / Mentre parliam, sarà fuggito a=>in breve / Il tempo ostile: cogli ognor l’istante, / Quanto men puoi t’affida al più avante», praticamente la versione sotto con qualche cambiamento nel mentre che scrivevo. Una mail del 25/5/11 alle 16:19, con oggetto «traduzione Carpe Diem», riporta essenzialmente la stessa storia, datando il tutto a «24/5 vespere [bisciolina]19-19:30» (24/5 di sera alle ~19-19:30), con le seguenti note:
    • Riporta i cambiamenti dei vv. 4 e 6 come versioni alternative;
    • Riporta il v. 2 con «a te, a me» anziché «a me, a te», presumo che il cambiamento sia stato fatto per rispecchiare l'ordine dei pronomi in Latino;
    • Il "com'ultimo" del v. 7 non ha l'elisione: "come ultimo"; in effetti compare di sotto;
    • Aggiunge un cambiamento all'ultimo verso: «His scriptis computatro in pausa ab Autocad 25/5 cogito mutare: Quanto men puoi t'affida a quel più avante» (cioè "scritte queste cose al computer in una pausa da Autocad il 25/5 penso di cambiare"); ecco dunque da dove sbuca quella versione, che si ritrova sotto.
    Il f.poem. (foglio di poesie) su cui si trova il manoscritto di questa traduzione riporta esattamente lo stesso che la mail, salvo che l'ultimo punto sopra non ci si ritrova.
Resta con ciò ancora inspiegato perché sotto ci sia «ci abbia» e non «c'abbia». Fra l'altro anche la mail ha il dà scritto sbagliato.
Vediamo queste traduzioni allora!


Proemio

Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris
Italiam fato profugus Laviniaque venit
Litora, multum ille et terris iactatus et alto
Vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram,
Multa quoque et bello passus, dum conderet urbem 5
Inferretque deos Latio; genus unde Latinum
Albanique patres atque altae moenia Romae.
Musa, mihi causas memora, quo numine laeso
Quidve dolens regina deum tot volvere casus
Insignem pietate virum, tot adire labores 10
Impulerit. Tantaene animis caelestibus irae?
L’armi e l'eroë io canto, che primo da’ liti di Troia,
Profugo per destino -> per il Fato, all’Italia e alle coste Lavinie
Vennene, molto per terra e per mare sbattuto da forze
Degli dei, e da memore ira di Giuno crudele,
Molto soffrì anche in guerra finché egli fondasse cittade
E gli deï portasse in Lazio, onde stirpe Latina
Ed i padri Albani, ed alte le mura di Roma.
Musa a me le cause ricorda: per qual nume offeso,
Per che lamenti regina d’Olimpo a cotanto soffrire
Per pietà uomo insigne, a passar per sì tante avventure
Giuno forzò: sì grandi nel ciel per gl'animi l’ire?
Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris
Italiam fato profugus Laviniaque venit
Litora, multum ille et terris iactatus et alto
Vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram,
Multa quoque et bello passus, dum conderet urbem 5
Inferretque deos Latio; genus unde Latinum
Albanique patres atque altae moenia Romae.
Musa, mihi causas memora, quo numine laeso
Quidve dolens regina deum tot volvere casus
Insignem pietate virum, tot adire labores 10
Impulerit. Tantaene animis caelestibus irae?
L’armi io canto e l’ero͞e che per primo da’ liti di Troia,
Profugo reso dal Fato, all’Italia e alle coste Lavinie
Giunsene, molto per terra e per mare sbattuto da forze
Degli dei, e da memore ira di Giuno crudele,
Molto soffrì anche in guerra finché egli fondasse cittade
E gli deï portasse in Lazio, onde stirpe Latina
Ed i padri Albani, e d’alta Roma le mura.
Musa a me le cause ricorda: per qual nume offeso,
Per che dolor la regina d’Olimpo a cotanto soffrire
Per pïetà uomo insigne a passare sì tante avventure
Giuno forzò: sì grandi nel ciel per l’alme son l’ire?


Verso sparso

Tantæ molis erat Romanam condere gentem!
Tanto peso era loro fondare la gente Romana!


Monologo interiore di Didone
Si mihi non animo fixum immotumque sederet 15
Ne cui me vinclo vellem sociare iugali,
Postquam primus amor deceptam morte fefellit;
Si non pertæsum thalami tædæque fuisset,

Huic uni forsan potui succumbere culpæ.
Se non avessi fisso e immoto 'n l'alma
Di non unirmi ad alcun uomo in nozze
Ché il primo amor con morte mi ha ingannata,
Se il talamo e la fiaccola nuziale
Non incontrasser presso me disgusto,
Ceder potrei a questa sola colpa.
Si mihi non animo fixum immotumque sederet 15
Ne cui me vinclo vellem sociare iugali,
Postquam primus amor deceptam morte fefellit;
Si non pertæsum thalami tædæque fuisset,

Huic uni forsan potui succumbere culpæ.
Se non avessi fisso e immoto in cuore
Di non volermi unire a nullo in nozze
Ché il primo amor con morte mi ha ingannata,
Se il talamo e la fiaccola nuziale
Non incontrasser dentro me disgusto,
Ceder potrei a quest’unica colpa.


Più avanti nella quarta incontrai anche Orazio. Di seguito le traduzioni in metrica barbara dell'epistola a Celso Albinovano e dell'ode a Licinio, nonché il sonetto che traduce il carpe diem.

Epistula VIII, ad Celsum Albinovanum
Celso gaudere et bene rem gerere Albinovano
Musa rogata refer, comiti scribæque Neronis.
Si quæret quid agam, dic multa et pulchra minantem
Vivere nec recte nec suaviter, haud quia grando
Contunderit vitis oleamve momorderit æstus, 5
Nec quia longinquis armentum ægrotet in agris,
Sed quia mente minus validus quam corpore toto
Nil audire velim, nil discere, quod levet aegrum,
Fidis offendar medicis, irascar amicis,
Cur me funesto properent arcere veterno, 10
Quæ nocuere sequar, fugiam quae profore credam,
Romæ Tibur amem, ventosus Tibure Romam.
Posthæc, ut valeat, quo pacto rem gerat et se,
Ut placeat iuveni, percontare, utque cohorti.
Si dicet “recte”, primum gaudere, subinde 15
Præceptum auriculis hoc instillare memento:
“Ut tu fortunam, sic nos te, Celse, feremus”.

Hor., Ep., I 8


Carmen rursus X, ad Licinium
Rectius vives, Licini, neque altum
Semper urgendo neque, dum procellas
Cautus horrescis, nimium premendo
Litus iniquum.

Auream quisquis mediocritatem
Diligit, tutus caret obsoleti
Sordibus tecti, caret invidenda
Sobrius aula.

Sæpius ventis agitatur ingens
Pinus et celsæ graviore casu
Decidunt turres feriuntque summos
Fulgura montis.

Sperat infestis, metuit secundis
Alteram sortem bene præparatum
Pectus; informis hiemes reducit
Iuppiter, idem

Submovet. Non, si male nunc, et olim
Sic erit: quondam cithara tacentem
Suscitat Musam neque semper arcum
Tendit Apollo.

Rebus angustis animosus atque
Fortis appare; sapienter idem
Contrahes vento nimium secundo
Turgida vela. 
Hor., Carm., II 10


Carmen XI, ad Leuconoen seu Carpe Diem
Tu ne quæsieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
Finem di dederint, Leuconoë, nec Babylonios
Temptaris numeros.


[Ut melius, quidquid erit, pati,
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
Quæ nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum:


[sapias, vina liques, et spatio brevi
Spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida


Ætas: carpe diem, quam minimum credula postero.

Hor., Carm., I 11
Epistola VIII, a Celso Albinovano
Augura, Musa, ti prego, a Celso Albinovano,
Scriba e compagno a Neron, di star bene e gestir bene il suo.
Se chiede come mi va, di’ che, ben che m’imponga assai molte
Buone azioni, non vivo né come a me piacerebbe
Né come giusto sarebbe, ma non ché la grandine m’abbia
Danno recato alle viti, o gl’ulivi ’l calor m’abbia morso,
Né ch’un armento ammalato in pascoli lungi si sïa,
Ma ché nella mia mente men sano che ’n tutto ’l mio corpo
Niente voglio sentir, niente apprendere, che mi guarisca,
Coi fidi medici m’iro, m’arrabbio coi miei amici
Poi che mi cercan di toglier da torpida e morta vecchiezza,
Seguo ciò che fa mal, ciò che credo giovarmi rifuggo,
Voglio Tivoli a Roma, volubile, a Tivoli Roma.
Chiedigli poi come stia, come sé amministri e gl’affari,
Come le grazie del giovin e del süo seguito incontri.
Se dice “va tutto bene”, dapprima rallegrati, e dopo
Questo consiglio ricorda di mettere nelle su’ orecchie:
“Sì come tu la tua sorte, così ti sopporterò, Celso”.
Orazio, Epistole, Libro I


Ode di nuovo decima, a Licinio
Meglio tu, Licinio, vivrai, all’alto
Mar non sempre andando né, cautamente
Tempestà temendo, premendo troppo
L’ìnfida costa.

Quelli ch’ama l’aurëa via di mezzo,
Lungi tien, sicur, di cadente casa
Lo squallore, l’astio di gran palazzo,
Ben misurato.

Agitan più spesso li venti un alto
Pino, l’alte torri più gran fracasso
Fan crollando, e ’l fulmine i monti sommi
Primi ferisce.

Ne’ mal tempi spera, ne’ buoni teme
L’altra sorte un animo preparato
Bene; Giove porta gl’inverni avversi,
Ma poi lui stesso

Toglieli. Se or ti va mal non sempre
Sì sarà: talvolta sua cetra sveglia
La tacente Musa, né sempre l’arco
Tende Apollo.

Nell’angustie bene ti mostra forte,
Coraggioso pure; sapiente poi
Le tue gonfie vele trarrai se ’l vento
Troppo ti spinge.
Orazio, Odi, Libro II, 10


Ode XI, a Leucònoe ovvero Carpe Diem
Tu non chieder (bestemmia è da sapere)
Qual fine a te, a me gli dei han dato,
Leucònoe͜ , ’nterrogare non volere
Quanto a Babilonia han calcolato.

Quant’è meglio accettare checché viene!
Sia che più verni ci abbia assegnato
Giove, o questo come ultimo, che tiene
Contro i scogli ’l Tirreno affaticato:

Alla tua vita da' sapore, ’l vino
Filtra, e, ché la nostra vita è breve,
Lontana speme chiudici. Persino
Mentre parliam, sarà fuggito in breve

Il tempo ostile: cogli ognor l’istante,
Quanto men puoi t’affida a quel più avante.
Orazio, Odi, I 11

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