Saturday 10 June 2017

Barbarizzando Catullo

In terza liceo, incontrai Catullo. Uno dei primi carmi (se non il primo) che incontrai fu il V, che tradussi in endecasillabi faleci barbari in Italiano poco dopo averlo incontrato, cioè Settembre-Novembre del 2009. Vediamo di stabilire una timeline:
  1. Abbiamo per prima cosa, suppongo, la versione riportata all'interno del racconto del 21/10/09 nel diario, che, a parte il "baci" scritto come "bace" colla 'i' scritta sopra la 'e' al v. 7, è la versione originale sotto; le differenze con la versione finali sono ai versi 1 4-6 9-10 12-13; non è chiaro se la traduzione sia stata fatta in un'intorno dell'ora di filosofia del 21, dove compare, oppure il 22 durante inglese, dove c'è un aggiornamento del diario per cui deve essere al più di quel momento, oppure studiando Catullo il 20 e poi scritta il giorno dopo durante filo, oppure ancora prima, e tralasciata per qualche motivo; occasioni di traduzione possono essere stati lo studio del 13 e le lezioni di 12 e 14, nessuna il 15-19/10, e dall'11/10 indietro ancora devo leggere; dacché il carme l'ho incontrato il 23/9, prima di così non dovrebbe poter essere stato tradotto;
  2. Un file automandato via mail il 24/11/09 riporta degli appunti del 30/9 su questo carme seguiti a ruota dal una versione che aggiusta i vv. 9-10 e lascia il resto come la versione originale; questo corrisponde ad un file omonimo sull'HD vecchio, datato 26/10/09 16:11-18:26;
  3. Una stampa degli appunti del 23/9 scocciata nel quaderno a metà degli appunti del 18/11 riporta la versione finale dei vv. 12-13 come versione alternativa; ora, la collocazione non dice molto, però penso di poter dare per buono che la stampa risale a prima di Natale; ci fossero sopra degli appunti… l'ultima pagina della stampa corrisponde ad un file sull'HD vecchio, datato 26/10/09 18:27-18:31, quindi immediatamente successivo al precedente, dove gli appunti sul carme sono in bianco, come se dovessi stampare sotto una precedente stampa degli stessi appunti; una stampa in fase due, insomma; insomma, altro che il 18/11 che sono gli appunti intorno alla stampa :);
  4. La summa auctorum, la cui parte di Catullo è stata fatta (diarius docet) tra il 4/7/11 e il 9/7/11, riporta delle modifiche «ispirate dalla lezione del 7/10» in un pezzo di appunti segnato come aggiunto, quindi suppongo che queste, che sistemano i vv. 4-6, risalgano alla stesura della summa; lì si ferma anche il corpus di traduzioni di altrui poesie compilato nel 2012, che non fa modifiche a questa traduzione;
  5. Da ultimo, il 29/6/22 alle 21:30 cambio «Vivïam, o mi͜a Lesbia, ed ami͜amo,» in «Deh viviamo, mia Lesbia, ed amiamo» e infine alla forma finale; e il 4/1/24 alle 2:35 cambio «P͜oi, com’ molte migliaia͜ avrem sommate» in «Quando molte migliaia avrem sommate», e alle 2:36 «O ché nullo malvagio» in «Sicché nullo malvagio» e poi «Sì che nullo malvagio»; certo che «Dì si vedon finir, ma poi tornare» fa 'm po' shkifo, si riesce a migliorare? «Sempre il sole tramonta e poi ritorna» mi par decisamente meglio, magari "risorge", 6/1/24 17:51; modifica che ripeto, partendo mentalmente da non so che versione, il 12/1/24 alle 16:32, cambiando poi risorge in rinasce; il 20/1/24, alle 3:21 nel cuore della notte, mi viene in mente il Deh del verso 1, e siccome mi pare un po' arcaichetto lo cambio in Dài.
Notare che io ricordo anche varianti del v. 2, «E i rumori dei vecchi troppo arcigni» e «E de' vecchi sever gl'insulsi suoni», che non so che fine abbiano fatto. Chissà se sono sul libro di Catullo… e chissà se lo ritroverò, quel libro.



Carmen V
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
Rumoresque senum severiorum
Omnes unĭus æstimemus assis.
Soles occidere et redire possunt;
Nobis cum semel occidit brevis lux,
Nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, de͞inde centum,
De͞in mille altera, de͞in secunda centum,
De͞inde usque altera mille, de͞inde centum;
De͞in, cum milia multa fecerīmus,
Conturbabimus illa, nē sciamus,
Aut ne quis malus invidere possit,
Cum tantum sciat esse bāsiorum.
Metr.: phal.
Carme 5
Vīvïām, o mi͜a Lēsbia, ēd ami͞amo,
Ē de’ vēcchi sevēri ͜i su͞oni ͜insūlsi
Tūtti d’ūn solo āsse vāluti͞amo.
Pu͞ote ’l sōl tramontāre ͜e rītornāre;
Trāmontāta la nōstra brēve lūce,
No͞i dobbi͞amo dormīr perpētu͜a notte.
Dāmmi mīlle be͜i bāci, ē po͜i cēnto,
Po͞i mill’āltri e po͞i ancōra cēnto,
Po͞i ancōra ͜altri mīlle,͜ ed āltri cēnto,
po͞i, quan’ mōlte migli͞aia ͜avrēm sommāte,
No͞i le scōmpigli͜erēm, per nōn sapēre,
Ō ché nūllo malvāgi͜o n’ābbi͜a ’nvīdi͜a,
Pēr sapēr che ci sōno tānti bāci.
Metro: endecasillabo falecio.
Carme 5
Dài viviamo ed amiamo, Lesbia mia,
E de’ vecchi severi͜ i suoni͜ insulsi
Tutti d’un solo asse valuti͜amo.
Sempre il sole tramonta e poi rinasce;
Noi, finita la nostra breve luce,
Notte͜ abbiamo perpet͜ua da dormire.
Dammi mille b͜ei baci, e p͜oi cento,
P͜oi mill’altri e p͜oi ancora cento,
P͜oi ancor altri mille,͜ ed altri cento;
Quando molte migliaia avrem sommate,
N͜oi le scompigli͜erem, per non sapere,
Sì ché nullo malvagi͜o mal ci guardi,
Per sapere ch’abbi͜am sì tanti baci.
Metro: endecasillabo falecio.

Più avanti, a Giugno/Luglio del 2011, quindi alla fine della quarta, mi capitarono sotto gli occhi dei carmi di Catullo, e decisi di tradurne un paio. [HAHAHAHAHAHAHA! Per dirla cogli appunti di latino, «stugazzo». Innanzitutto c'è la "summa auctorum" del 28/3/11 che contiene tutte le traduzioni sotto tranne l'ultima, come le vedete sotto (salvo per 4 differenze, che sono «santo» invece di «santa» nel 109 (errore), «Come͜ è» al posto di «Com'è» nel 72, «Questo͜ ingrato» anziché «Quest'ingrato» nel 76, e «Vogli͜o ch’i͜o stesso sti͜a bene e deponga͜ esto͜ oscuro malanno» come penultimo verso del 76), infilate sotto a quella del carme sopra, e quindi queste traduzioni non sono di Giugno-Luglio 2011. Poi se n'è persa una, che s'è nascosta negli appunti di Catullo inclusi nella summa, ed è del carme 70, quindi mo' la aggiungiamo. Da ultimo, gli appunti nella summa coprono, nell'ordine sotto, tutti i carmi di sotto, mettendo il 70 come comparandum al 72. A parte il 101, tutti sono tra 14/10 e 10/2, anche se alcuni vengono poi rivisti in seguito, mentre il 101 è il 5/5. Io do per buono, almeno per ora, che le traduzioni siano state fatte poco dopo aver fatto i carmi a scuola. Quando riscendo in pianura e posso recuperare il quaderno, vedo se ce le trovo. {E non le ho trovate. In effetti nel quaderno si trova solo il primo carme. E poi la summa è di Luglio 2011, precisamente tra il 4 e il 9 stando al diario. Inoltre di Marzo 2011 c'è anche un file di Saffo con cose dentro che sono di Giugno, come da file con data nel nome che le riportano. Secondo me le traduzioni sono state fatte proprio per la summa, occasione in cui i carmi mi sono tornati sott'occhio, e quindi tra il 4/7 e il 9/7/11, nell'ordine in cui compaiono sia nella summa che qua sotto.}]. Il 72 ha una modifica dell'1/8/22 ore 11:57, dove «Tu dicevi͜ un tempo di solo conoscer Catullo,» prende la forma attuale.

Carmen CIX
Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem
Hunc nostrum inter nos perpetuumque fore.
Di magni, facite ut vere promittere possit,
Atque id sincere dicat et ex animo,
Ut liceat nobis tota perducere vita
Æternum hoc sanctæ fœdus amicitiæ.
Metr.: eleg.

Carmen LXXII
Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec præ me velle tenere Iovem.
Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,
Sed pater ut gnatos diligit et generos.
Nunc te cognovi; quare etsi impensius uror,
Multo mi tamen es vilior et levior.
«Qui potis est?» inquis. Quod amantem iniuria
Cogit amare magis sed bene velle minus. [talis
Metr.: eleg.

Carmen LXXXV
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Metr.: eleg.

Carmen LXXVI
Si qua recordanti benefacta priora voluptas
Est homini, cum se cogitat esse pium,
Nec sanctam violasse fidem, nec fœdere nullo
Divum ad fallendos numine abusum homines,
Multa parata manent in longa ætate, Catulle,
Ex hoc ingrato gaudia amore tibi.
Nam quæcumque homines bene cuiquam aut dicere
Aut facere, hæc a te dictaque factaque sunt: [possunt
Omnia quæ ingratæ perierunt credita menti.
Quare cur te iam amplius excrucies?
Quin tu animo offirmas atque istinc teque reducis
Et deis invitis desinis esse miser?
Difficile est longum subito deponere amorem;
Difficile est, verum hoc qua lubet efficias.
Una salus hæc est, hoc est tibi pervincendum;
Hoc facias, sive id non pote sive pote.
O di, si vestrum est misereri, aut si quibus umquam
Extremam iam ipsa in morte tulistis opem,
Me miserum aspicite et, si vitam puriter egi,
Eripite hanc pestem perniciemque mihi,
Quæ mihi sibrepens imos ut torpor in artus
Expulit ex omni pectore lætitias.
Non iam illud quæro, contra me ut diligat illa,
Aut (quod non potis est) esse pudica velit;
Ipse valere opto et tætrum hunc deponere morbum.
O di, reddite mi hoc pro pietate mea.
Metr.: eleg.

Carmen CI
Multas per gentes et multa per æquora vectus
Advenio has miseras, frater, ad inferias,
Ut te postremo donarem munere mortis
Et mutam nequiquam alloquerer cinerem,
Quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
Heu miser indigne frater adempte mihi!
Nunc tamen interea hæc, prisco quæ more parentum
Tradita sunt tristi munere ad inferias,
Accipe fraterno multum manantia fletu,
Atque in perpetuum, frater, ave atque vale!
Metr.: eleg.

Carmen LXX
Nulli se dicit mulier mea nubere malle
Quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.
Dicit; sed mulier cupido quod dicit amanti
In vento et rapida scribere oportet aqua.
Metr.: eleg.
Carme 109
Tu mi dichi͜ari, mi͜a vita, che questo nostro amore
Ch’ora͜ abbi͜am tra di n͜oi    lieto͜ ed eterno sarà.
O grandi d͜èi, fate͜ in modo che possa promettere͜ il vero,
E con sincerità    e ’l cuore͜ in man dica ciò,
Sì che per tutta la vita si͜a lecito͜ a noi continuare
Questa͜ eterna d’amor    santa͜ allëanza de’ cuor.
Metro: distici elegiaci.

Carme 72
Tu dicevi͜ un tempo che sol conoscevi Catullo,
Lesb͜ia, e͜ invece che l͜ui    né meno Gi͜ove voler.
Ïo͜ allora t’amaï, ma non com͜e il volgo l’amante,
Ma come͜ un padre͜ i figli͜uol    e͜ i gener’ su͜oi su͜ole͜ amar.
Ora ti͜ ho conosci͜uto; pertanto, sebben di pi͜ù ardo,
Tu s͜ei molto di pi͜ù vile͜ e spregevol per me.
«Com’è possibile?» dici. Ché simile torto͜ un amante
Forza͜ ad amare di più    ma͜ a voler bene di men.
Metro: distici elegiaci.

Carme 85
Odi͜o͜ ed amo. Perché questo faccia, tu forse mi chiedi.
Dirlo non so, ma ch’avvi͜en    sento,͜ e tormento ne ho.
Metro: distico elegiaco.

Carme 76
Se͜ i benefici di prima per quel che ricorda pi͜acere
V’è qualcun, quando l͜ui    d’essere pïo riti͜en,
Né͜ aver vi͜olato͜ una santa promessa, né per ingannare
Gl’u͜omini nume divin    m͜ai abusato d’aver,
Quest’ingrato amore nel lungo futuro, Catullo,
Molte pronte per te    gi͜oi͜e nascoste rit͜ien.
Tutto quello ch’un u͜om per un altro ben dire͜ o ben fare
Pu͜ote, tutto tu l’h͜ai    detto e fatto inver:
Tutte cose perite ché date͜ ad un animo͜ ingrato.
Dunque ché tu ancor    addolorare ti d͜éi?
Ché non resisti nell’alma͜ e da c͜iò ti sottraï e contro
La volontà degli d͜èi smetti d’avere dolor?
S’è ben difficil deporre di subito͜ un lungo amore;
S’è ben difficil, ma c͜iò    come che pu͜oi devi far.
Questa͜ è tu͜a sola salvezza, d͜éi vincere questa guerra;
Questo tu fa’, che s͜ia    per te possibile͜ o no.
Dei, s’è propr͜ia di v͜oi la pi͜età, o s’ad altri già͜͜ avete
L’ultima͜ aíta infin    contro la morte di lor
Data, guardate me triste,͜ e se pura la vita͜ ho tenuto,
Questa peste mortal    deh rimovete da me,
Che, fino in fondo͜ alle membra sì come torpore strisciando,
Ogni letizi͜a dal cuor    tutto m’ha tolto inver.
Io non ch͜iedo g͜ià pi͜ù che cost͜ei corrisponda͜ il mio͜͜ amore,
O (possibil non è)    che voglia͜͜ avere pudor;
Vogl͜io star bene i͜o stesso͜ e deporre͜ esto͜ oscuro malanno
D͜èi, concedetemi ciò    per rettitudine c’ho.
Metro: distici elegiaci.

Carme 101
Ito per popoli molti͜ e moltissimi mari,͜ ora gi͜ungo
A queste tristi, fratel,    funebri͜ offerte, a te
Per dare l’ultimo dono di morte e futilemente
Alla tu͜a cenere, ch’è    senza parole, parlar,
Poi che la sorte crudel te medesmo a me ha sottratto,
O͜ ingiustamente a me    tolto, m͜io caro fratel!
Ora intanto comunque stillante di pianto fraterno
Questo don di dolor    che fin dall’antichità
Uso de͜i padri fu dare a͜i morti, accetta,͜ e͜ in eterno,
Caro fratello, addi͜o,    i͜o ti saluto, sta’ ben!
Metro: distici elegiaci.

Carme 70
La mïa donna mi dice che non vuole amare nessuno
Tranne che me, neanche se    sia Giove stesso a voler
Lei. Così dice; ma quel che una donna ad un cupido amante
Dice, sul vento si de’    scriver, e su acqua che cor.
Metro: distici elegiaci

No comments:

Post a Comment